Beirut sotto le stelle

Rieccoci in Piazza Castello a Ferrara, nello stesso luogo incantato che ormai da quasi un decennio ospita concerti indescrivibili, meritandosi oramai una santificazione. Quest’anno buona parte della fremente attesa si è concentrata sull’esibizione di Beirut, all’esordio assoluto in territorio italiano.

Mettere in fila le bands e gli artisti che si sono susseguiti in questi anni a “Ferrara Sotto le Stelle” ci da quasi un senso estatico: Radiohead, Sigur Ros, Belle & Sebastian, Arcade Fire, Interpol e dEUS. Aggiungiamoci i vari Arctic Monkeys, Editors, Rapture, Goldfrapp e qualcun altro che ora ci sfugge.

Per Beirut, che io continuo a chiamare al singolare (proprio come è nato artisticamente, salvo poi allargare il nome all’intera band), è stato gridato al miracolo in tempi non sospetti, dopo essere stati letteralmente folgorati dal suo esordio zingaresco e visionario di “Gulag Orkestrar“, attorno al quale si sono poi spese varie leggende, dal fatto che abbia scritto l’album nel giro di una notte e soprattutto di averlo fatto senza aver mai visitato prima l’Europe dell’Est, territorio dal quale proviene buona parte della musica che lo influenza dal punto di vista artistico e compositivo.

Il suo secondo lavoro, “The Flying Club Cup“, è la naturale conseguenza di una maturazione rapidissima e dell’incontro con le atmosfere retro francesi. Cosa chiedere di meglio a questo nomade culturale che incarna in maniera perfetta lo spirito culturale del nostro tempo?

Ne avevamo parlato già in rete nel 2007 e avevamo scelto proprio lui quando un anno e mezzo fa avevamo aperto la pagina di Soundscape su Facebook. Anche perché Beirut e tutto il carrozzone iconografico che si porta dietro è quanto di più vicino alla nostra personale visione della musica e della cultura, attingendo a piene mani da immaginari  senza tempo né confini geografici, con una venatura costante di nostalgia, tra fanfare gitane, vintage bohemien francese e citazioni sparse e variegate.

I giudizi sono sempre soggettivi e personali e non è facile prendere il distacco giusto per commenti forse più adeguati. Ma tant’è, sui nostri canali non abbiamo mai fatto cronaca spiccia e abbiamo sempre lasciato spazio a slanci creativi quanto a quelli emotivi. In ogni caso, de gustibus.

La data ferrarese è stata dunque l’esordio italiano per Zach Condon e la sua band, con un’esibizione po’ sui generis, in un’atmosfera magica, vista anche la location particolare e l’orario di inizio, tra l’ultima luce del giorno e il primo buio serale. A suguire poi c’è stata l’esibizione dei The National, headliner della serata, anche se non poche persone nella piazza erano lì proprio per Beirut. Queste impressioni le abbiamo ricevute sia dalla risposta del pubblico che dai commenti vari trovati online sia pre che post concerto, sicuramente non abbiamo un dato statistico per accertare la questione e sinceramente anche poco ce ne importa.

L’esordio con “Nantes” è stato già un pugno al cuore, per quello che forse è il suo brano più riconosciuto, passando poi per una serie senza fine di gemme, da “Postcards from Italy” (si, lo aveva detto anche lui sorridendo che era la sua prima data italiana di sempre!) a “Elephant Gun“, passando per la commovente “A Sunday Smile“, per arrivare poi a una chiusura che rappresenta forse la punta massima del climax compositivo di/dei Beirut, ovvero quella “The Gulag Orkestar” che aveva battezzato il suo/loro esordio discografico.

Ora non ci resta che attendere che il caro Zach e la sua allegra brigata passi di nuovo da queste parti, altrimenti non sarà di certo un problema scomodarci per raggiungelo altrove…

(tutte le foto di questo post sono di Roberto Ricciuti che ringraziamo davvero per la gentile concessione!)

Alcuni stralci dello show scovati in rete…

The Gulag Orkestar

Postcards from Italy

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